Project Description

Giulio Bonasone
(Bologna 1498 – Roma 1580)

Diana e Atteone, 1550 ca.

Bulino
misure: mm 274 x 410

Pittore e incisore italiano. Attivo a Bologna e a Roma dal 1531 al 1574. Numerose sono le sue stampe: il primo a descriverle fu il Malvasia (I, pp. 65-68), che ne elenca duecentocinquantacinque; il Bartsch ne ricorda trecentocinquantaquattro e fa una serrata critica dei repertori precedenti. L’autore cerca di “inventare” nelle sue incisioni qualcosa di nuovo, ma come spesso afferma anche lui non riesce che ad “imitare”; spesso le “imitazioni” sono delle copie attentissime di opere di Raffaello, Michelangelo, Parmigianino e Giulio Romano.

Il soggetto deriva dal testo delle Metamorfosi di Ovidio (III, 155). L’autore rappresenta contemporaneamente due momenti del mito. Il momento in cui Atteone viene allontanato dalle ninfe di Diana e inizia a tramutarsi in cervo quale punizione per aver osato guardare la dea Diana nuda. Il momento successivo, in secondo piano a sinistra, in cui Atteone-cervo diviene preda della sua stessa muta di cani da caccia. Tema affrontato anche da Parmigianino, Luca Penni e Primaticcio. E’ un pretesto per una riflessione raffinata sul tema dell’amore che affonda le radici delle propria fortuna iconografica nella nudità seducente dei corpi, casta e inevitabilmente fatale. Una riflessione sulle passioni dell’uomo che lo conducono alla rovina: sull’incisione di Renè Boivin derivata dal disegno di Penni sul medesimo soggetto si legge: dominum cognoscite vestrum. Ovidio racconta l’episodio come avvenuto in un bosco naturalmente artificioso con una grotta e giochi d’acqua. Bonasone, come poi Luca Penni, si discosta dal testo e inserisce alcune rovine classiche a formare la grotta e la vasca di Diana. Si tratta probabilmente di un “ammodernamento” dei fatti finalizzato ad inserire la scena in un paesaggio simile alla città di Roma ai tempi dell’esecuzione del bulino. In questo senso il foglio doveva apparire più interessante per un pubblico che amava raccogliere immagini di statue o architetture classiche o immagini di rovine e antichità romane. Catalogata da Bartsch nel 1813 come Scuola di Marcantonio Raimondi e nel 1820 da G. A. Armano assegnata a Bonasone. Stefania Massari nel 1983 accoglie questa seconda ipotesi e inserisce l’opera nel catalogo ragionato di Bonasone, proponendo di datare l’esecuzione dell’opera al 155o circa.
Esemplare nel raro I/II stato, prima dell’excudit “Ant Lafreri Romae”, stampatore attivo a Roma fra il 1547 e il 1577, aggiunto sul parallelepipedo in basso a destra nel soggetto.

Impressione eccellente, fresca e ricca di contrasto, per buona parte visibile al verso. Foglio rifilato lungo la linea di contorno visibile su tre lati e un paio di millimetri al suo interno nel lato superiore. Qualche strappo restaurato.

Filigrana: “frecce incrociate sormontate da una stella”. Simile a Briquet n 6296. Italia centrale secondo quarto del XVI secolo.

Bibliografia:Bartsch, 1813, xv, 10; Armano, 1820, 81; Massari, 1983, 118.

VENDUTO